IL CESTINO DELLO ZIBIBBOPrimo, Secondo e Terzo, i tre fratelli Gelmini, erano andati a portare un cestino dÕuva alla nonna. Non che la nonna non avesse dellÕuva; anzi ne aveva tanta che i suoi pergolati erano pi neri che verdi; ma di quella qualitˆ, posseduta in tutti quei dintorni solo dalla famiglia Gelmini, non si sapeva se ce ne fosse altra al mondo. Tanto  vero che la madre avvert“ i tre ragazzi di tener ben coperto col panno il cestino, e se qualcuno domandava cosa cÕera lˆ dentro, di rispondere:Ń Ci sono uova e peperoni.Ń Ci sono uova e peperoni Š risposero infatti a una voce i tre bravi fratelli, quando Vica la gobba, la donna che viveva nelle strade, e come un cane senza padrone andava dietro ai passanti finchŽ non veniva scacciata malamente, salt˜ gi dalla siepe di un podere e domand˜ che cosa cÕera dentro il cestino.Ń Non  vero Š disse lei, fissando i suoi occhietti gialli sul panno leggero che lasciava indovinare la forma dei grossi grappoli. Š L“, ci avete lo zibibbo, quellÕuva che possedete solo voi nel pergolato dietro la casa. Io la conosco; ha gli acini lunghi e a punta come i peperoncini forti, ma il sapore  ben altro. Io per˜ non lÕho mai sentito, quel sapore. Me lo fate sentire?Ń Via di qua Š url˜ Primo, stendendo il pugno minaccioso; e gli altri due fratelli si strinsero intorno al cestino per difenderlo come lÕarca santa degli ebrei nel deserto.Il luogo era deserto davvero: e le case del paesetto dove stava la nonna, ancora non si vedevano. Se avesse voluto, la gobba, che era gobba ma robusta, avrebbe sbaragliato col suo bastone i tre intrepidi fratelli: ma lei non voleva. Giˆ abbastanza fama di cattiva donna, di ladra, di prepotente e di portasfortuna godeva: quindi si content˜ di umiliare e spaurire i Gelmini.Ń Altra cosa vi credevo! Screanzati e sordidi siete; e la Madonna vi castigherˆ, per aver negato tre acini dÕuva alla povera mendicante senza casa e senza pane.Il pi piccolo dei Gelmini, fu allora del parere di dare un grappolino alla gobba: per paura, sÕintende, non per amore; ma gli altri due, e specialmente Primo, che giˆ aveva il cuore duro come quello di un vecchio contadino, si opposero fieramente.E tutti e tre ripresero a camminare, mentre Vica spariva fra le siepi donde era sbucata. Per ingannare la lunghezza della strada Primo propose un gioco:Ń Voi due siete i bovi che trascinate il carro: sopra il carro cՏ lÕuva. Io vi conduco.Ń Faremo un poÕ alla volta: non voglio sempre essere il bove, io Š disse Secondo.La proposta accettata, i due fratelli minori presero loro il cestino e andarono avanti: Primo li aizzava, e non contento di loro si arm˜ di una fronda e cominci˜ a sferzarli sulle gambe. Secondo si mise a correre, ma il fratello piccolo, che era giˆ stanco e malcontento, abbandon˜ lÕansa del cestino, e buona parte dellÕuva cadde per terra: i bei grappoli si sgranarono come tante collane di cui sՏ rotto il filo.Gli urli di Primo e le b˜tte che egli prodig˜ al fratellino non valsero a riparare il danno; nŽ lo ripar˜ lÕosservazione che fece Secondo:Ń é perchŽ la gobba porta sfortuna: e noi le abbiamo negato un grappolino dÕuva.Questa fu la prima delle disgrazie.La seconda avvenne quando si tratt˜ di lasciare la strada per inoltrarsi in un viottolo attraverso i campi, onde arrivare pi presto alla casa della nonna. Il piccolo Terzo, che dopo il trattamento energico del fratello maggiore non aveva cessato di piagnucolare e lamentarsi, inciamp˜ malamente in un buco del terreno, nascosto dallÕerba, e cadde lungo disteso battendo la faccia al suolo. Sulle prime non grid˜, non tent˜ di sollevarsi; ma quando i fratelli, impressionati dal suo silenzio, lo tirarono su, cominci˜ a morderli ed a sparare calci contro di loro.Aveva il viso insanguinato e pareva come impazzito.Ń Ma che ti prende? Š grid˜ Primo, ributtandolo gi sullÕerba. Lˆ lo tennero fermo per forza e gli asciugarono il sangue col panno che copriva lÕuva. Egli piangeva cos“ forte che le lagrime aiutarono a lavargli il viso. Poi rifiut˜ di seguire i fratelli; ma quando essi ripresero la strada e sparvero dietro una distesa di saggina simile ad una foresta, ed egli si trov˜ solo, ebbe paura. Da una parte e dallÕaltra del viottolo le alte piante del frumentone gli parevano soldati con la baionetta innastata; e un fruscio strano, prodotto dallÕagitarsi delle foglie dure, gli ricordava che le volpi amano aggirarsi nei campi fitti di vegetazione. Egli non aveva mai veduto una volpe; se la immaginava per˜ grande e feroce come il lupo dipinto nel quadro di San Francesco chÕera in camera della mamma; e che non facesse distinzioni fra i polli ed i bambini.Pens˜ bene dunque di alzarsi e anche di affrettare il passo per raggiungere i fratelli; ma per quanto si affrettasse, i fratelli non li raggiungeva; non solo, ma neppure li vedeva in lontananza. Allora cominci˜ ad aver paura davvero; credeva di essersi smarrito, e giˆ stava per gridare domandando aiuto, (a chi, se non si vedeva anima viva?) quando uno starnazzare di oche lo riconfort˜. Se cÕerano oche cÕerano probabilmente anche cristiani, perchŽ non si  mai sentito dire che le oche vivano nel deserto. Queste qui, anzi, facevano quel verso speciale che usano appunto quando arriva gente; e raddoppiarono le loro strida nel vedere il piccolo Terzo. Sembravano molto allegre, tutte riunite in un gruppo di nove o dieci che pareva un gregge, tutte bianche e con gli occhietti rotondi e neri come bottoncini da scarpe.Terzo per˜ non prese parte alla loro allegria; anzi si fece pallido in viso come stesse per venir meno, e diede un grido di spavento: perchŽ in mezzo alle oche vedeva il cestino dellÕuva, vuoto: esse ne avevano tratto, piluccato e massacrato i grappoli, senza rispettarne uno solo.Che era avvenuto degli altri fratelli? Le volpi, certo, li avevano assaliti e divorati, e di loro non rimanevano neppure i lacci delle scarpe. Istupidito dal dolore, Terzo raccatt˜ il panno che aveva coperto il cestino, e con esso, giˆ anche macchiato del suo sangue, si asciug˜ le lagrime grosse come gli acini dellÕuva ancora sparsi per terra.Ń é la gobba,  la gobbaÉ Š singhiozzava. Voleva dire:  stata la gobba a portarci sfortuna, ma non riusciva a finire la frase, tanto i suoi pensieri erano confusi. Tuttavia prese anche il cestino e si avvi˜ per tornare indietro.Gli urli di Primo lo richiamarono.Ń Che fai, macacco? Oh, che fai?Si volse, e vide i suoi fratelli sani e salvi, ciascuno con una cotogna in mano. Secondo, anzi, ne aveva due, delle quali una mangiata a metˆ; e questo spiegava il suo silenzio e le sue smorfie: perchŽ il frutto era cos“ aspro e duro che egli si trovava ingozzato.Dalle grida e dalle invettive di Primo, Terzo cap“ allora come era andata la faccenda: il fratello maggiore sapeva che nel campo cÕera un cotogno, e volendo rubarne i frutti, aveva ordinato a Secondo di aspettarlo nel viottolo col cestino dellÕuva. Ma Secondo non intendeva di ubbidire; e aveva piantato il cestino per andare a cogliere anche lui le cotogne. Quello che Terzo non riusc“ a comprendere fu il perchŽ i fratelli se la pigliavano con lui. Primo, il maggiore, poi lÕaltro, ricominciarono a dargli spintoni e pugni, accompagnandolo cos“ fino alla casa della nonna.Ń Per colpa tua; tutto per colpa tua.Egli non si difendeva pi, non piangeva pi, non capiva pi nulla; ma quando arrivarono dalla nonna ed i fratelli raccontarono a modo loro la storia, egli domand˜:Ń PerchŽ, se io volevo dare lÕuva alla gobba, e allora perchŽ ho preso io tutta la sfortuna? PerchŽ?Ń PerchŽ sei il pi stupidino Š spieg˜ la nonna, soffiandogli il naso.